storia del matrimonio gay

Anche se oggi può apparire molto strano, il matrimonio gay in Italia un tempo aveva un posto riconosciuto nella nostra cultura. In epoca greca e romana, l’unione matrimoniale tra due uomini era un’abitudine perfettamente riconosciuta e lecita.

Com’è cambiata questa concezione nel corso dei secoli e dei millenni? E quando è stato celebrato il primo matrimonio gay nell’Italia contemporanea?

Il matrimonio gay nell’antica Roma

In Grecia le relazioni amorose tra due uomini o tra due donne erano considerate non soltanto lecite, ma anche come un passaggio fondamentale dell’educazione dei giovani. Più nello specifico, infatti, le coppie erano formate da un amante più anziano, che fungeva da mentore e da insegnante, e di uno più giovane, che all’interno della coppia era il discepolo.

La Roma Imperiale finì con l’adottare questa consuetudine. Secondo gli storici, infatti, è possibile affermare che almeno 13 sui primi 14 imperatori romani fossero (almeno) bisessuali. A sancire definitivamente la consuetudine di prendere altri uomini come compagni ufficiali fu Nerone, il quale sposò  nel corso della sua vita almeno due maschi, il più famoso dei quali fu un ragazzo eunuco di nome Sporo. Secondo la leggenda, dopo aver ucciso a calci la moglie Poppea, l’imperatore sentì la mancanza del bel viso della moglie e ordinò che venisse trovata e condotta da lui una persona il cui viso assomigliasse il più possibile a quello della defunta Poppea. Gli incaricati dell’Imperatore trovarono che nessuno assomigliasse a Poppea quanto il giovane Sporo, quindi Nerone fu ben felice di sposarlo. Sporo visse insieme all’imperatore in veste di vera e propria regina e veniva considerato da tutti al pari di una moglie imperiale. Per celebrare il suo amore per Sporo e la loro unione, Nerone organizzò ben due diverse cerimonie estremamente sfarzose, una in Grecia e una in Italia.

Prima di Sporo, però, pare che Nerone avesse sposato un altro uomo e che, in quel matrimonio, fosse l’Imperatore a ricoprire il ruolo di moglie.

Come si vede, quindi, in epoca imperiale l’omosessualità era non soltanto vissuta apertamente, ma era anche accettata e celebrata a livello sociale.

L’avvento del Cristianesimo

Nel momento in cui il Cristianesimo cominciò a diffondersi in Italia e a soppiantare la religione politeista di Stato, il matrimonio andò delineandosi soltanto come uno strumento finalizzato alla procreazione. Come si può facilmente intuire, quindi, il matrimonio gay in Italia cominciò a essere visto con sempre maggior disprezzo.

Le cose cambiarono definitivamente quando anche gli imperatori di Roma cominciarono a essere cristiani: nel 390 d.C. non soltanto i matrimoni tra persone dello stesso sesso, ma anche l’omosessualità venne definita come illegale. La punizione per chi intratteneva rapporti omosessuali era di morire bruciato sul rogo.

Il matrimonio gay nell’Italia contemporanea

Il primo matrimonio gay in Italia venne celebrato nel 2002, ma all’epoca l’Italia non riconosceva le unioni civili. I due sposi erano Alessio De Giorgi, presidente dell’Arcigay Toscana, e il suo compagno Christian Panicucci, toscano di origini francesi. Proprio le origini francesi del Panicucci hanno consentito alla coppia di beneficiare del Patto Civile di Solidarietà con cui venivano riconosciute in Francia e ai cittadini francesi il diritto di unirsi in matrimonio con persone dello stesso sesso.

L’Italia recepì la Convenzione Europea in materia di unioni omosessuali soltanto nel 2017, un anno dopo che i matrimoni gay in Grecia venissero riconosciuti: il Paese si trovò costretto cioè ad allargare anche alle coppie omosessuali il diritto a contrarre unioni civili come veniva concesso alle coppie eterosessuali fin dal 2008.

In molti paesi dell’Europa Occidentale invece il matrimonio gay è riconosciuto in tutto e per tutto ed è perfettamente identico alle unioni matrimoniali tra eterosessuali. Fece discutere il caso del matrimonio gay celebrato in Belgio tra due sposi, uno dei quali era rumeno. Quando la coppia tentò di trasferirsi in Romania lo Stato bloccò sul confine il marito del suo cittadino poiché non riconosceva l’unione matrimoniale celebrato in Belgio. La Corte di Giustizia Europea intervenne considerando la motivazione assolutamente insufficiente: i due erano coniugi in un altro Paese Europeo e la Romania aveva il dovere di concedere la residenza anche al coniuge belga. Così fu.